Poggio Moiano

Cenni storici


Poggio Moiano non ripete le sue origini da epoche remote. Cosultando libri, documenti e pubblicistica nella biblioteca dell'Abbadia di Farfa, si avverte che del 773 ha inizio una ricca documentazione relativa al territorio nel quale sorgerà il paese e che viene variamente denominato: Medianula, Modiano, Mianula, Gualdo Modiano, Loco Moiano, ecc. Per circa trecento anni, fino ad oltre il 1050, non si fa cenno di un centro abitato che può essere sorto dal 900 al 1.000 a seguito della devastazione di Trebula Mutuesca e Vicus Novus avvenuta per le scorrerie dei Saraceni. L'opinione di alcuni cittadini secondo i quali il primo nucleo di abitazioni in tempi non precisati, ebbe inizio da un baraccamento di boscaioli che rifornivano Roma di carbone non è per ora confortata da valida dimostrazione.

La denominazione "Poggio Moiano" (podio de Moiano) compare invece per la prima volta in due documenti del 1083 da cui risulta che il conte Teodino figlio del conte Berardo concede a Farfa alcuni beni ricevendone in cambio degli altri. Nel 1098 un Donadeo di Bonomo, vassallo dei Crescenzi, risulta attore di una controversia con l'abate Berardo che rivendicava alcuni fondi "in pertinentia phare Scandriliae, ecclesia Sancti Petri, in agua viva, podio de Moiano".

Tali possedimenti furono confermati come "feudo" dall'imperatore Enrico IV nel 1084 accresciuti poi nel 1118 con diploma di Enrico V mediante l'aggiunta della chiesa di Santa Margherita. Nel 1262 in una bolla di papa Urbano IV Poggio Moiano è indicato per la prima volta con l'appellativo di "castrum", è ancora attribuito all'Abbadia, anzi nel 1334 i Mareri dovettero fare atto di ammenda per averlo occupato e papa Giovanni XXII condonò loro la pena. Nel frattempo era divenuto anche Comune difatti compare nei documenti pubblici il nome di un Sindaco: Pardano fu Lello nativo di Cerdomare. Nei primi anni del 1400 se ne impadronì Giovanni Battista Savelli che lo trattenne in suo podere nonostante l'ordine di restituirlo a Farfa. Ma nel 1462 il papa Pio II confiscò a Giacomo Savelli tutti i possedimenti fatta eccezione dei castelli di Aspra e Palombara, ivi compreso Poggio Moiano, perché il Savelli nella guerra che allora si combatteva tra la casa d'Angiò e quella degli Aragonesi per il possesso del Regno di Napoli, s'era schierato apertamente con i D'Angiò contro gli Aragonesi sostenuti invece dalla Santa Sede.

I beni confiscati furono poi messi in vendita dalla camera apostolica e acquistati da mons. Giorgio Cesarini in società con Marcello Rustici e i fratelli Lelio, Filippo e Giacomo della Valle. I Savelli lo riscattarono nel 1468 ma fu di nuovo loro confiscato da Alessandro VI e dato a Giulio Orsini il 16.10.1555; avendolo di nuovo recuperato dopo la morte del papa, i Savelli cercarono di ripararne i guasti e le rovine dalle guerre e dagli errori del passato, come risulta da un atto di donazione di Bernardino Savelli a favore della moglie Lucrezia Anguillara in premio alla sua operosità nel senso indicato (7.2.1584). Ciò è confermato dalla iscrizione posta all'interno del palazzo baronale ed ora scomparsa insieme allo stesso palazzo: LUCRETIA ANGUILLARA DE SABELLIS A.D. MDLXXXV. Ma infine, oberata dai debiti, la famiglia Savelli si vide costretta ad alienare alcuni castelli tra cui anche Poggio Moiano che venne ceduto nel 1633 al principe Marcantonio Borghese, nipote di Paolo V, vendita approvata da Urbano VIII con chirografo del 21.2.1636. Da allora il castello di Poggio Moiano fu governato dai Ciccalotti, famiglia vassalla dei Borghese, derivata da quella tiburtina dei Curta Braca e a detta di molti studiosi, originaria di Torri in Sabina che aveva pure altri possedimenti a Poggio Moiano, Monteleone, Poggio Nativo, Toffia ecc.

Successivamente nel 1717 i Borghese lo diedero in affitto alla famiglia Sassi nella persona di un tale Fabiano Sassi del "Quondam Caroli di Collepiccolo" che lo tenne fino all'aquisto di esso da parte dei Torlonia. Per quanto riguarda le frazioni, l'importanza di Osteria Nuova anche in epoche remote è dato acquisito per gli studiosi. La sua prima collocazione strategica sulla via Salaria, a un giorno di marcia da Roma, era dovuta all'esistenza di una stazione di cambio (Mansio ad Navas da cui il nome attuale) su una via consolare di primaria importanza qual era appunto la via Salaria. Quest'utlima collegava già la città imperiale con la costa marchigiana dell'Adriatico derivando proprio da ciò, secondo gli studi più recenti, il proprio nome: in latino, infatti sal - salis vuol dire anche "mare" e non solo "sale" come per molto tempo si è voluto sottolineare per spiegare l'origine del toponimo, ritenendo questa strada particolarmente importante, in quel tempo, per il commercio del sale.




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